Quei militari austriaci deportati a Cosenza. La vicenda rimossa dei prigionieri nella Grande Guerra

Di tanto in tanto il tema rimosso dei prigionieri (sia italiani che austro-ungarici) della Prima Guerra Mondiale riaffiora dagli anfratti della memoria collettiva e trova ospitalità in indagini storiche approfondite.
Con “Soldati e prigionieri italiani nella Grande Guerra”, Editori Riuniti, 1993, Giovanna Procacci, ha messo in luce come 100000 italiani prigionieri degli austriaci siano morti nei campi di detenzione per un concorso spietato di cause.
Alla devastante crisi alimentare che affliggeva l’impero austro ungarico ed impediva la somministrazione di razioni sufficienti di cibo ai prigionieri di guerra si aggiunse la spietata intransigenza delle autorità italiane.
Il Ministro degli Esteri Sidney Sonnino ed il generale Luigi Cadorna, comandante supremo delle truppe italiane, si rifiutarono di far pervenire attraverso le organizzazioni umanitarie, aiuti vitali a coloro che, per essersi arresi, erano da considerarsi traditori,
vili o comunque cattivi modelli per quanti ancora combattevano in trincea.
Un ricercatore veneziano Alessandro Tortato con un saggio dal titolo “La prigionia di Guerra in Italia”, Mursia, 2004, ha analizzato, invece, la vicenda analoga dell’utilizzo dei prigionieri austriaci in Italia durante il primo conflitto mondiale.
Lo studioso ha sottolineato come per i paesi coinvolti nella Grande Guerra il poter disporre di manodopera (i prigionieri) a basso costo rappresentasse in quegli anni una importante opportunità.
Tanto più che nella Convenzione dell’Aia del 1907, firmata dai futuri paesi belligeranti, era espressamente previsto l’impiego dei soldati non graduati per lavori pubblici o privati.
Servendosi di un approccio pluridisciplinare Tortato guida il lettore nei meandri di avvenimenti inesplorati dalla storiografia ufficiale.
Indica nel venticinque di maggio del 1916 la data in cui le autorità italiane decisero di avvalersi delle prerogative contemplate nella Convenzione dell’Aia.
Da quella data, sancita da una circolare inviata dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio ai Prefetti, i prigionieri di truppa dell’impero austriaco iniziarono ad essere impegnati, divisi per nazionalità in lavori agricoli e industriali, esterni al campo di prigionia.
Enti pubblici e privati fecero a gara per accaparrarsi i loro servizi facendone domanda .
I prigionieri furono invitati a svolgere le loro mansioni di lavoratori in gruppi non inferiori a 100 con la scorta di un ufficiale e 24 uomini

Giuseppe Scalarini: La rincorsa tragica della fame e della guerra

truppa e a richiederli furono inizialmente i proprietari terrieri interessati al loro utilizzo per la mietitura.
E’ solo nel novembre del 1916 che una Commissione per i prigionieri di guerra tentò di disciplinare in modo uniforme e per tutto il territorio nazionale la materia.
L’orario di lavoro non doveva superare le 10 ore e venne considerato lavorativo il tempo di trasferimento da e per gli alloggiamenti.
Si vietò l’utilizzo dei prigionieri in lavori durante i giorni festivi e per il lavoro svolto la paga doveva essere corrispondente a quella percepita dagli operai civili che svolgevano nello stesso luogo la stessa mansione.
Vennero predisposti distaccamenti di prigionieri impegnati in lavori agricoli: 100 uomini riconducibili ad un numero minimo di 30 se le condizioni dell’agricoltura lo avessero richiesto.
All’inizio del 1917 si registrò un aumento consistente di domande di utilizzo di prigionieri negli impieghi più svariati e si predispose con puntigliosità la loro distribuzione sul territorio: 80000 prigionieri furono suddivisi in 2000 distaccamenti.
Nel marzo 1917 fu resa obbligatoria per i prigionieri l’assicurazione contro gli infortuni che si sarebbe dovuta stipulare presso l’apposita Cassa Nazionale.
A fine 1917 il generale Spingardi, presidente della Commissione prigionieri di guerra, evidentemente soddisfatto del suo lavoro organizzativo, ebbe a dire a Vittorio Emanuele Orlando, Presidente del Consiglio dopo Caporetto, che tranne gli inabili e i malati nessun prigioniero era rimasto in ozio.
Casi d’insubordinazione, tentativi di ammutinamento, propaganda intesa a fiaccare la tenuta della Nazione, episodi di sberleffi nei confronti della popolazione dopo la disfatta italiana di Caporetto, negligenze nel controllo della disciplina dei prigionieri costrinsero la Commissione a ritirare dai lavori agricoli tutti i prigionieri operanti nel Nord Italia.
Nell’aprile del 1918 sempre il generale Spingardi indicava a Vittorio Emanuele Orlando in 130000 il numero di prigionieri attivi di cui 60000 svolgevano lavori agricoli.
La vittoria del novembre 1918 determinò la cattura di 300000 nuovi prigionieri dell’esercito imperiale in rotta che causò un esubero di manodopera, i cui effetti si resero palesi con la smobilitazione del Regio Esercito Italiano.
Prima della fine del 1918 vennero infatti congedati i soldati italiani delle classi 1874-1884 e i giovanissimi del 1900 .
Una massa di ex combattenti si trovò gettata in un contesto economico degradato.
Non fu possibile per essi accettare il dramma della disoccupazione vedendo il nemico di ieri impegnato al lavoro nei campi o nella fabbrica vicina.
Quello di prigioniero iniziò ad essere considerato in maniera assurda uno status invidiato, tanto da costringere le autorità ad organizzare il ritiro progressivo degli austro-ungarici, ad iniziare dai luoghi in cui si fossero verificati casi di concorrenza con la manodopera locale.
All’inizio del novembre del 1919 una Commissione presieduta dal Presidente del Consiglio del tempo Francesco Saverio Nitti stabilì di informare tutti i ministeri che entro la fine di quello stesso mese l’economia italiana sarebbe tornata a contare solamente sulle braccia dei lavoratori italiani.
I prigionieri rispediti a bordo di treni alle loro case furono accolti nelle stazioni di sosta dei loro paesi di provenienza con freddezza e ostilità.
L’Austria aveva individuato i capri espiatori per la sua sconfitta e appariva simile all’Italia nel negare solidarietà a quanti per puro caso e non per un atto deliberato si erano ritrovati prigionieri del nemico.

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I prigionieri di guerra austriaci trovarono utilizzo anche nella fragile economia del Cosentino. A rivelarlo sono diverse fonti. .
Con una scarna nota,forse perché sottoposta a censura,il corrispondente da Castrovillari di “Cronaca di Calabria” informava in data 17 febbraio 1917 che la domenica precedente, col treno della sera erano arrivati nella cittadina del Pollino circa un centinaio di prigionieri austriaci. Condotti nella vicina contrada Petrosa furono subito adibiti al lavoro dei campi.
Presenze di prigionieri di guerra austriaci sono rilevabili anche a Sant’Agata di Esaro.
E’ sempre su “Cronaca di Calabria” che il corrispondente locale, in data 22 agosto 1918 diede la notizia dei solenni funerali del primo soldato santagatese, Borrelli Fioravante, caduto al fronte all’inizio della guerra e che a presenziare alla funzione, che si tenne nella Congrega del Santissimo Rosario, furono anche i soldati del presidio che sorvegliavano il locale distaccamento agricolo dei prigionieri di guerra.
In piena emergenza sanitaria per l’epidemia di “Spagnola” il corrispondente da Rossano dello stesso giornale, in data 24 Novembre 1918, informò che sarebbero arrivati in città e ospitati nell’ex convento di Sant’Anna, sede del distaccamento del 19° Reggimento Fanteria, 200 ufficiali e 200 soldati austriaci prigionieri di guerra.
Lo stesso annotò che il servizio sanitario sarebbe stato affidato al valentissimo dottor Francesco De Russis, capitano medico del presidio e che tale nome costituiva “assicurazione completa di garanzia igienica” per il popolo di Rossano allarmato per l’arrivo di potenziali veicoli d’infezione in una fase di acuta epidemia.
L’epidemia di “Spagnola” non risparmiò invece la giovane vita di Feher Sandor soldato ungherese di Hajduboszormeny una cittadina a duecento chilometri da Budapest.
A rilevarcelo sono le annotazioni contenute nella parte II – Serie C del registro Atti di Morte 1918 del Comune di San Sosti che confermano la presenza nella cittadina del Pettoruto di un distaccamento di prigionieri ungheresi utilizzati per lavori agricoli sopratutti nei vigneti del luogo.
Essi alloggiavano in contrada Badia e in più occasioni,come hanno tramandato diverse fonti orali, fraternizzarono con i soldati del paese che ritornavano in licenza e che incontravano sui campi di lavoro; insieme imprecavano contro la guerra.
Feher Sandor che faceva, da civile, il contadino e di anni ne aveva ventisei morì il giorno di Natale del 1918 alle ore antimeridiane undici e minuti trenta: così registrò il freddo linguaggio burocratico dell’ufficiale d’anagrafe Giuseppe Guaglianone.
Anche i suoi genitori Istrian e Gaeso Juliana facevano i contadini. La loro attività contribuisce ad evidenziare come anche da parte del nemico il tributo maggiore alla Grande Guerra sia stato pagato dai ceti subalterni.
Testimoni della sua morte furono il caporal maggiore Durso Carmelo ed il soldato Rossi Umberto addetti alla sorveglianza del distaccamento ed i suoi compagni Rosenfeld Izsak e Kristof Imre . Le esequie costituirono un esempio di compostezza e la commozione, che coinvolse l’intera popolazione di San Sosti, fu sottratta all’incuria del tempo dai racconti che ne fecero in seguito i presenti.
Il coinvolgimento emotivo era alimentato anche dal clima di apprensione per i soldati calabresi prigionieri degli austriaci che ancora non erano ritornati in Patria.
Proprio in quell’anno, ma lo si saprà solo nel 1920, un prigioniero quarantenne di San Sosti, Presta Giuseppe, morì di enterite nel campo di prigionia di Milowitz ora Milovice, un paesino a cinquanta chilometri da Praga.
Il caso più singolare appare quello di Michele Kopeling, classe 1896, di Varsavia. Facente parte di un distaccamento di prigionieri polacchi che a San Marco Argentano producevano traversine per le ferrovie si innamorò di una ragazza del luogo, Giardullo Luigina e alla fine del 1919 rifiutò di essere rimpatriato.
Mise al mondo sei figli, quattro maschi e due femmine, e visse facendo il contadino. Morì a Roggiano Gravina novantenne nel 1987.

Giuseppe Scalarini: Soldati al fronte secondo la stampa e nella realtà

L’amore della gente calabra gli aveva impedito di essere spettatore e forse vittima, a Varsavia, degli orrori nazisti e comunisti.
A Sangineto i soldati austriaci furono impegnati, dai proprietari terrieri, in lavori nei vigneti.
A fine guerra, il quattro novembre del 1918, piantarono,in segno di riconciliazione, nel Castello costruito dai Principi Sanseverino di Bisignano un ulivo le cui fronde svettano dalle cadenti mura ora in restauro.
Ai giovani che lo frequentano d’estate, perché sede di una discoteca, in pochi ricordano che la mano dell’uomo, con eguale destrezza può seminare morte ma anche spargere semi di Pace .

Francesco Capalbo

L’articolo è stato pubblicato su La Provincia” in data 4 Novembre 2007.

E’ recensito sul sito di storia dedicato alla Prima Guerra Mondiale al seguente indirizzo: http://www.cimeetrincee.it/prigioni.htm

4 risposte a “Quei militari austriaci deportati a Cosenza. La vicenda rimossa dei prigionieri nella Grande Guerra

  1. io “adoro” la grande guerra,è un’esperienza che ha fatto maturare i soldati,e i sacrifici che fecero non saranno mai dimenticati.

    non li dimenticheremo mai!!!!!!!!!!!!!!

    i veri uomini,i veri eroi sono coloro che sono morti in battaglia e coloro che sono tornati a casa per essere seppelliti…….

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  2. Gollner Renate

    Sto cercando un elenco con i prigioneri austro ungarici in Italia fino al 1921. Forse qualcuno sa dirmi dove dovrei cercare. Dell resto siete forti. Comlimenti

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  3. Alberto Caroli

    Ottimo lavoro!

    Sto ultimando una ricerca sul campo di prigionia per ufficiali austriaci in Portoferraio (isola d’Elba). Mi interesserebbe recuperare informazioni, documenti, testimonianze su questo campo di prigionia. Sono entrato in possesso di una discreta quantità di corrispondenza di quegli ufficiali. Dove potrei trovare l’elenco dei nomi dei prigionieri?
    Grazie

    Ich bin finishing eine recherche auf dem gefangenenlager für offizielle österreichischen in Portoferraio (insel Elba – Italien). Mich würde interessieren, abrufen von informationen, dokumente, zeugnisse über dieses gefangenenlager. Ich kam in den besitz der ein großer teil der korrespondenz von diesen offizielle. Wo kann ich eine liste mit namen von gefangenen?
    Vielen dank

    ALBERTO CAROLI
    agcc@hotmail.it

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  4. Al cimitero di Cosenza, nella parte vecchia, una lapide ricorda i nomi di diversi prigionieri austroungarici morti durante il periodo di prigionia.

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