Di Pietro Bruno
Il fiume Rose ha sempre esercitato su di me un effetto molto particolare, quasi magico. Ne sono rimasto sempre affascinato ed ogni qual volta torno a San Sosti è raro che non mi rechi ad osservarlo, a sentire il suo rumore ed i suoi odori.
Ho provato a vedere se altri fiumi, altrettanto belli, avessero su di me un effetto simile. Nulla.
Nei caldi pomeriggi estivi di alcuni decenni fa, mentre era d’obbligo il riposo pomeridiano, scappavo di casa e percorrevo la via della “venicella”, che attualmente parte da via Matteotti, ed in un attimo arrivavo in quella oasi di verde di freschezza e di pace, mi sedevo e osservavo l’acqua in alcuni punti verde calma e ingannatrice ed in alcuni altri turbolenta e spumeggiante, ed era la voce di mia madre che mi destava da questa contemplazione, ed allo stesso tempo mi allarmava, per le probabili conseguenze punitive alla mia fuga pomeridiana.
Diventando più grande sono diventato pescatore, più che per passione sportiva per amore verso il fiume. Avevo un alibi una giustificazione per poter andare al fiume e potervi rimanerci tutto il tempo che volevo. Furono poche le trote che finirono nel mio cesto. Ma questo non aveva nessuna importanza.
Riuscivo, saltando da una pietra all’altra, sperando, specialmente d’inverno di non bagnarmi, a guadarlo ed anche a percorrerlo in senso longitudinale (in lungo).
Poi riuscii a mettere da parte i soldi per gli stivaloni a coscia. Ecco risolto il problema dei raffreddori e dei mal di gola.
Ero conosciuto e conoscevo tantissimi personaggi che frequentavano il fiume. Pescatori, Pastori, Agricoltori. Non li evoco perché la maggior parte di essi sono morti e non mi sento degno di nominarli, tanto era e rimane il mio rispetto per loro.
Una mattina, però, arrivarono le ruspe ed iniziarono i lavori di invasamento (mi sembra che si dica così), abbatterono gran parte della rigogliosa vegetazione, ed ecco che in poco tempo comparvero delle briglie e dei muraglioni in cemento armato bianco e pensai tra me: “ma se il fiume è stato così per secoli, con questo percorso, delimitato da questa bellissima e folta natura, che bisogno c’è di fare questi lavori?”. I lavori andavano fatti. Io non capivo nulla.
Poi, per lavoro, partii, come del resto tantissimi altri amici e compaesani, e dopo tanti anni di poca frequentazione di quei luoghi mi accorsi che la natura, la vegetazione, aveva riguadagnato i suoi spazi e ripreso il suo posto, nonostante la presenza sempre meno evidente degli orrendi muraglioni.
Pensai di nuovo tra me: “contro la natura, nemmeno il cemento armato riesce a resistere”.
Tanti decantano, a ragione, le bellezze del mare e dei suoi orizzonti. Il fiume non ha orizzonti e quindi siamo noi a doverglieli dare. Siamo noi che, anche dal ristretto spazio tra una sponda e l’altra possiamo intravedere una infinità di bellezze di ricordi e di pensieri infiniti, se solo avessimo il tempo e la calma di fermarci a riflettere.
Preso dalla fretta quotidiana, nel tormentato e frenetico caos cittadino, alle volte mi fermo con la mente e penso al nostro fiume. Riparto più calmo e più concentrato. Mi ritempra. Ora non riesco più a saltellare da una pietra all’altra, ho paura di cadere. Non ho più la stessa agilità, mi limito ad osservarlo e mi viene in mente il titolo di un bellissimo Film di qualche anno fa.” In mezzo scorre il Fiume”.
Pietro Bruno
Tra i tanti saltellatori del fiume c’ero anchio, mi è piaciuto rivivire il film di Pietro Bruno, naturalmente qualche volta, e se parliamo dello stesso Pietro, insieme saltellavamo anche nei nostri boschi
Con affetto Sininaldo
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