1558: i casali albanesi in fiamme!

Di Francesco Marchianò

“Abbrusciate li casali!”, sarà stato l’ordine impartito dal Marchese Pignatelli di Cerchiara agli ufficiali comandanti la soldataglia spagnola un giorno del 1558 ottemperando alle direttive di D. Parafan de Ribera, che non dormiva sonni tranquilli dal giorno del suo insediamento come nuovo viceré di Napoli: invasione di locuste, terremoti in Puglia e Basilicata, epidemie, incursioni barbaresche, imposizione di tasse e, ancora peggio, movimenti ereticali e banditismo da reprimere nella Calabria citeriore[i].
La cattolicissima Spagna, con la pace di Cateau-Cambrésis (1559), aveva ormai consolidato il proprio predominio su tutta l’Italia trovando un potente alleato nella Chiesa che, dopo il Concilio di Trento, aveva dato pieni poteri al suo braccio armato, la terribile Santa Inquisizione, di perseguitare movimenti ereticali e di ribellione antispagnola. 
In questi complessi scenari si inseriscono le vicende poco note dei piccoli casali arbëreshë di Lungro, Acquaformosa, Mongrassano[ii] e San Sosti[iii] sottoposti ad esose e particolari tassazioni imposte dai feudatari locali e dalla Sommaria che porteranno il Vicereame di Napoli indietro nel tempo, cioè fuori dalle moderne dinamiche economiche che, invece, caratterizzeranno positivamente il Regno Unito, l’Olanda ed alcune provincie tedesche[iv].
I casali sopra citati, acquistati dal Principe Pietro Antonio Sanseverino, rendevano, come appare in un “Memoriale” fiscale del 1563, rispettivamente:

–         l’Università de Acqua formosa, per annui ducati quaranta poi tarì uno et grani otto;

–         lo casale de Lungro per annui ducati cento:

–         Moccasano de San Marcho per annui ducati settanta cinco;

–         San Sosti per annui ducati quattordici[v].

Inoltre, risulta che il 13 gennaio 1559, il Sanseverino aveva fatto presente alle autorità competenti di non aver potuto riscuotere le tasse perché “li mesi passati foro dishabitati et brusciati li ditti casali, de ordine de Sua Excellentia per lo ben pubblico de questa provintia”[vi].
Un dato alquanto inquietante che nessuno storico locale ha finora indagato e pubblicato. La storiografia arbëreshe ha tramandato la consuetudine dei profughi albanesi di dare fuoco ai “pagliari”, cioè ai tuguri dove abitavano, per non pagare le tasse ai Regi numeratori[vii] ma non hanno mai narrato di una violenza simile, scatenata nei loro confronti, cui spesso ricorrevano gli Spagnoli per reprimere le rivolte sociali.
Le date contenute nel «Memoriale» ci riportano a ricostruire due vicende avvenute tra il 1556 e il 1563 nella provincia di Calabria Citeriore: l’eliminazione fisica e la conversione forzata dei Valdesi e la proclamazione della repubblica da parte del leggendario bandito Marco Berardi, di Mangone, noto come Re Marcone[viii].
Per quanto riguarda i Valdesi, stabilitisi in alcuni paesi della Catena Costiera calabrese (Montalto Uffugo, San Sisto, San Vincenzo, Guardia e relative frazioni) fin dal 1386, il papa Paolo IV (G. Paolo Carafa) e Michele Ghisleri, ambedue appartenenti alla spietata e sanguinaria Santa Inquisizione, impongono ai feudatari locali di convertire i protestanti pena la non concessione dell’assoluzione.
Nel 1556, Don Salvatore Spinelli procede subito all’applicazione delle direttive papali facendo arrestare il predicatore Gian Luigi Pascale, che sarà poi arso vivo a Roma sul Ponte Sant’Angelo.
Gli inquisitori imposero l’abiura con la forza e misure coercitive che spinsero i Valdesi a rifugiarsi nei vicini casali posti sui monti fornendo al governatore de Ribera l’occasione di scatenare una feroce repressione nel giugno 1561 che costò la vita a migliaia di innocenti protestanti[ix].
La repressione fu cruenta e sistematica tanto che “Anche la popolazione di Montalto d’assai discese; finchè nel 1580 vi si condussero coloni albanesi di rito greco[x].
Nello stesso lasso di tempo il “fuoroscito” Marco Berardi, messosi a capo di una banda di 1500 uomini, organizzati militarmente, occupa Crotone e vende ai pirati barbareschi i soldati spagnoli inviati ad arrestarlo. La rivolta verrà poi spietatamente repressa dal marchese Pignatelli[xi].
Le tristi vicende dei Calabro-valdesi e il fenomeno del banditismo di Re Marcone si sarà certamente intrecciata con la semplice e misera esistenza degli abitanti dei casali citati se in una lettera (20 dicembre 1561) viene ribadito che i casali “sclavonum, et albanensium, Acquae formose, Lungri, Sancti Sosti, et Mocrasani de San Marco ex habitorum, et combustorum ordinatione Regiae Curie pro bono pubblico”[xii].
Quindi furono le autorità spagnole, per motivi di ordine pubblico e per scoraggiare eventuali rivolte, ad ordinare l’evacuazione e l’incendio dei casali provocando l’esodo degli abitanti e forse anche la loro deportazione nei vicini casali.
Nulla ci impedisce, però, di ipotizzare che gli abitanti di Lungro, Acquaformosa, San Sosti e Mongrassano abbiano avuto un ruolo importante, durante lo svolgimento dei due episodi citati, partecipandovi direttamente oppure dando asilo ai ricercati valdesi e appoggio ai fuorilegge del Berardi visti come coloro che li liberavano da tasse e da soprusi di ogni genere.
Il «Memoriale» si conclude che per far “quadrare” i conti verranno aumentate le tasse di altri casali appartenenti al Sanseverino (Altomonte, Saracena, Roggiano, Sant’Agata, Mottafollone, Bonifati, Belvedere, Bonvicino, Grisolia)[xiii].
Ma, pur escludendo la complicità degli Albanesi nelle vicende sopra citate, si può affermare che la condotta dei profughi nella metà del XVI non era certamente civile e corretta se un decreto vicereale (4 settembre 1539) ordinava agli Albanesi di stabilirsi in “terre murate” al fine di controllarli – per tassarli – ed evitare loro una vita nomade e, soprattutto, malavitosa se qualche anno dopo (1564) il vicerè Alcalà de Ribera imponeva loro ulteriori restrizioni inerenti alle cavalcature[xiv].
Non tutti gli Albanesi, però, accettano di vivere in luoghi recintati come quelli di San Benedetto e Lungro che ottengono una dilazione nel 1579. Quest’ultimo casale, secondo documenti d’archivio,
“consiste in tre quartiere et habita da ducento trenta fochi in circa, et sono le case cioè ducentodecessette fabricate de calce et sidice de legnami, oltra le quali vi sono ottantasette altre pur di legnami dove tengono loro bestiami, et vinti altre de fabriche ma scoverte. Vi è anco dentro detto Casale una gran quantità de celsi et altri albori et orti, che per tal causa sono le case distante l’una dall’altra et è perciò de gran circuito che per girarsi de mura anderia de spesa quatromilia ducati”[xv].
Tassazioni elevate, violenze da parte dei feudatari, repressioni spietate ordinate dal potere centrale, impoverimento graduale dei ceti popolari, saranno alla base di future e grandi rivolte in seno al Vicereame di Napoli: la congiura di Tommaso Campanella e la rivoluzione di Masaniello, che vedranno gli Arbëreshë, con Lungro in testa, ancora in prima linea in difesa dei diritti e della libertà.

Francesco Marchianò


[i] G. Bugni, Compendio di storia patria ovvero fatti principali della storia del Regno di Napoli dalla primitiva origine fino i tempi nostri, Napoli1854, pag. 299-301; P. Giannone, Istoria civile del Regno  di Napoli, t. V, Napoli 1770, pag.40. Il viceré Pietro Parafan de Ribera espletò il proprio incarico dal 1559 al 1572, sotto l’impero di Filippo II d’Austria.
[ii]
[iii] Sulla comunità calabro-albanese di San Sosti si legga: F. Marchianò, “Presenze albanesi a San Sosti”, in “Katundi Ynë”, A. XL- n. 136 – 2009/3.
[iv] Cfr. G. Galasso, Economia e società nella Calabria del Cinquecento, Napoli 1992 (III ed.); N. Santamaria, La società napoletana dei tempi vicereali, Napoli 1861. Il malgoverno spagnolo darà ai principi la possibilità di imporre nuove tassazioni che varieranno di feudo in feudo. C’erano feudatari che facevano pagare ai braccianti la tassa del portare la zappa!
[v] A. Barone – A. Savaglio – F. Barone, Albanesi di Calabria – Capitoli, Grazie ed Immunità, Galsibaris, 1998, pag. 33. Dallo stesso documento emerge che il Bisignano fu sollecitato ad un primo pagamento, nel 1556, per un importo di mille ducati; mentre un pari importo gli venne richiesto nel 1559.
[vi] Ibidem.
[vii] D. Zangari, Le colonie Italo Albanesi di Calabria – Storia e demografia (secoli XV-XVI), Napoli 1941.
[viii] G. Garuccio, Napoli, e sue vicende storiche e politiche dalla sua origine al Regno di Ferdinando IV, Napoli 1842, pag. 138; F. Palermo, Narrazione e documenti sulla storia del regno di Napoli dall’anno1522 al 1667, Firenze 1846, pagg. 193-196.
[ix] De Boni, L’Inquisizione e i Calabro-valdesi, Milano 1811; G. Musca, Una piccola crociata postmediavale- La persecuzione dei Vladesi in Calabria nel secolo XVI, in “Quaderni Meridionali”, Edizioni Dedalo, Giugno 2005, pag. 45.
[x]  Ibidem, pag. 111.
[xi] G. Bugni, op. cit., pag. 301.
[xii] A. Barone – A. Savaglio – F. Barone, Albanesi di Calabria…., pag.34.
[xiii] Ibidem, pag. 35
[xiv]  Cfr. V. Giura, La vita economica degli Albanesi in Calabria nei secoli XV-XVIII, in “Gli Albanesi in Calabria – Secoli XV-XVIII”, Edizioni Orizzonti Merdionali, 1988, pag. 76.
[xv] G. Galasso, Economia e società nella Calabria del Cinquecento, Feltrinelli 1975, pag. 108 n. 20.

2 risposte a “1558: i casali albanesi in fiamme!

  1. Caro Raffaele, permettimi di esprimere i miei complimenti all’autore per questo articolo molto interessante e per il suo documentato lavoro di ricerca.
    La presenza albanese nella storia sansostese è riscontrabile in numerose fonti documentali e letterarie che l’autore puntualmente cita, in alcuni dati toponomastici (piazza degli Albanesi, per esempio). Una traccia molto significativa mi sembra anche la presenza in località Fravitta di un luogo di culto dedicato a San Nicola …
    Quello che occorre precisare (anche se Marchianò non cade nell’errore) è che, al contrario di quanto sostenuto da storici locali (come don Domenico Cerbelli nella sua, comunque, fondamentale Monografia), San Sosti non è di origine albanese in quanto le famiglie che vi si insediarono trovarono già una comunità organizzata con le sue istituzioni e la sua religiosità. Le più recenti investigazioni archeologiche lo dimostrano chiaramente in quanto attestano una presenza umana di un certo rilievo dalla protostoria all’età moderna (una prima densa relazione sulle ultime campagne di scavo può essere letta alla pagina web http://www.fastionline.org/docs/FOLDER-it-2008-130.pdf).
    La storia di San Sosti, dei Casalini, del Pettoruto, nonostante diversi importanti contributi (tra i quali mi permetto di ricordare un libretto del 1995 dal titolo “La misteriosa città di Kyniskos” soprattutto per il rinnovato impulso che ha dato agli studi storici e archeologici), resta in gran parte da scrivere.
    Molti cordiali saluti a te e a tutti i sansostesi nel mondo,
    Mario Sirimarco

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  2. francesco marchianò

    Un ringraziamento a Mario Sirimarco per aver apprezzato il mio lavoro dimostrando, tra l’altro, di avere una perfetta conoscenza della storia di San Sosti e del suo territorio. Avevo letto su Kyniskos e della famosa ascia che è esposta “illegalmente” a Londra mentre dovrebbe ritornare a San Sosti a dimostrazione dell’antichità del luogo, della cultura della sua popolazione e soprattutto per dimostrare a tutti il grado di civiltà raggiunta dalla Calabria italica, prima, ed italiota, dopo.
    Grazie di cuore ed un caro saluto a Raffaele e Mario che sperò di conoscere il più presto possibile.
    Francesco Marchianò

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