Di Cesare De Rosis
Relazione letta nel Convegno di studi sul tema “Il sud e l’Unità d’Italia” tenutosi il 30/4/2011 presso la Biblioteca comunale di Spezzano Albanese.
Il processo dell’unificazione politica dell’Italia – iniziato nel 1859 con quella che fu chiamata la “seconda guerra d’indipendenza”, con l’annessione della Lombardia al Regno sabaudo, e concluso nel 1918 con “grande guerra” e l’annessione del Trentino e della Venezia Giulia – ha trovato nel Cattolicesimo italiano contemporaneamente un ostacolo politico (l’esistenza del millenario “Stato pontificio” a Roma e nel centro della penisola) ed un vitale apporto di principi e di valori. A cominciare dai valori fondanti del processo risorgimentale stesso: la libertà (ispiratrice e promotrice dei primi “moti“ del 1821 e ’31 e della “prima guerra d’indipendenza” nel ’48), l’unità (condizione e obiettivo dell’indipendenza) e la nazionalità.
Tutti e tre questi valori certamente di ispirazione cristiana, sono stati adottati dall’Illuminismo e dal Positivismo, ma deformandone la concezione e deviandone l’attuazione. Infatti secondo l’ antropologia cristiana l’uomo è persona razionale e perciò libera, e non soltanto individuo materiale fisicamente determinato; l’uomo non è individuo isolato ma naturalmente “sociale”, con essenziale bisogno di unità nell’ organizzazione della sua società, della “polis”; l’uomo nasce e vive in una comunità culturale, di tradizioni e di costumi lungamente elaborati da molte generazioni, che costituiscono e identificano – in diverse condizioni geografiche e storiche – la più vasta comunità: la nazione.
Ma una nazione nasce attorno a precisi principi: ed è proprio su principi e valori che è stato costruito anche lo Stato italiano del Risorgimento: elitario, centralista, in bilico fra il liberalismo politico e l’autoritarismo, fra il liberismo economico e l’interventismo statale. E, fin dalle origini, non solo anticlericale (spiegabile per la “questione romana”), ma anche anticristiano, anzi antireligioso. Purtroppo. Ed è solo dalla radicata e largamente diffusa tradizione culturale e sociale del Cattolicesimo che è venuta la capacità di attenuare gli effetti perversi di quelle concezioni dell’uomo e dello Stato, sostenendo e divulgando forme più razionali e umane di convivenza civile fondata sulla solidarietà e sulla cooperazione fra le persone e le loro organizzazioni sociali, Stato compreso. E’ dalla illuminata presenza di alcuni suoi esponenti ecclesiastici e laici, dal costante impegno religioso e civile del “Magistero” papale e dal non meno impegnato magistero filosofico, storico e letterario di tanti laici cattolici, che sono stati tramandati nella loro integralità e nel loro autentico significato i tre fondamentali principi cristiani della libertà, dell’unità e della nazionalità, come “anima“ e base concettuale del Risorgimento. E’ con le loro proposte programmatiche e con la loro concreta realizzazione – non solo con la critica razionale, ma anche con sempre più vasto impegno operativo sociale – che è stata dimostrata la erronea e deviante interpretazione che di quegli stessi principi stava dando lo Stato moderno, sedicente liberale, unitario e nazionale.
Ci sono stati uomini grandi che vanno ricordati:
il marchigiano Romolo Murri sul terreno della critica radicale al liberalismo elitario e classiste, cui contrappone il liberalismo democratico mettendo le basi della “prima democrazie cristiana”; il veneto Giuseppe Toniolo in campo economico e sociale con la critica al liberismo individualista ed egoista, cui contrapponeva – secondo il Magistero di Leone XIII – la concezione della responsabilità sociale della proprietà e della funzione sociale del mercato, libero ma non anarchico; il siciliano Luigi Sturzo che propose e guidò l’impegno dei cattolici nelle amministrazioni delle autonomie locali e delle organizzazioni sociali intermedie (con la cooperazione agricola, il piccolo credito delle casse rurali, l’organizzazione dei sindacati e delle associazioni di categoria).
Ma la storia d’Italia di questi centocinquant’anni ha registrato un “secondo Risorgimento“: quello dalle ceneri del secondo conflitto mondiale. Un Risorgimento, questo, in cui il Cattolicesimo italiano ha avuto una presenza più vasta ed influente e un’efficacia più incisiva, sia per la ricostruzione materiale, dell’economia e della politica, sia per la progettazione e l’impianto del nuovo Stato. Ricordare il trentino De Gasperi e il toscano Gronchi, il veneto Gonella e il siciliano Scelba, il lombardo Vanoni e il toscano Fanfani, il sardo Segni e il pugliese Petrilli, il laziale Andreotti e il calabrese Gennaro Cassiani vuol dire indicare solo i massimi protagonisti e le guide del lavoro che gli italiani hanno rapidamente compiuto per sollevarsi dal baratro in cui erano stati precipitati e per trasformare una società arretrata, povera e prevalentemente agricola in una società industriale evoluta ed affluente.
L’unità d’Italia è stata cucita a spese della Chiesa, ricorda don Vincenzo Longo. Il processo storico di unificazione dal 1848 al ’61 si è svolto contestualmente a una vera e propria guerra di religione condotta nel Parlamento di Torino – dove tra i liberali siedono i massoni – contro la Chiesa cattolica. I liberali aboliscono tutti gli ordini religiosi della Chiesa di Stato, spogliano di ogni avere le 57.492 persone che li compongono, sopprimono le 24.166 opere pie, lasciano più di 100 diocesi senza vescovo, impongono al clero l’obbligo di cantare il Te Deum per l’ordine morale raggiunto, vietano la pubblicazione delle encicliche pontificie, pretendono siano loro somministrati i sacramenti nonostante la scomunica, e, come se nulla fosse, si proclamano cattolici.
Perché? Perché proprio lo Stato sabaudo, che si dice costituzionale e liberale, alla guida del moto risorgimentale dedica accanite sessioni parlamentari per la soppressione degli ordini religiosi? Con quali motivazioni ideologiche, morali, politiche e giuridiche? Sulla base di una mole impressionante di fonti originali, Angela Pellicciari dimostra che colpendo il potere temporale della Chiesa s’intendeva annientarne la portata spirituale. Dell’iconografia tradizionale resta un Ottocento tormentato, certo spregiudicato, molto meno romantico, che apre a una più piena comprensione delle difficoltà riscontrate fino a oggi nell’evoluzione della nostra identità nazionale.
L’Italia, scrive – a torto o a ragione – Ernesto Galli della Loggia, “è l’unico Paese d’Europa la cui unità nazionale e la cui liberazione dal dominio straniero siano avvenute in aperto, feroce contrasto con la propria Chiesa nazionale. L’incompatibilità fra patria e religione, fra Stato e cristianesimo, è in un certo senso un elemento fondativo della nostra identità collettiva come Stato nazionale” . Purtroppo. Anche se ormai le ferite delle storia grazie a Dio sembrano completamente cicatrizzate e Italia a Santa sede collaborano in piena e armoniosa sintonia.
Lo storico Arturo Carlo Jemolo scrive: Il liberalismo nelle sue molteplici correnti non ebbe dopo Gioberti un grande teorizzatore italiano. I suoi uomini eminenti furono piuttosto degli apostoli dell’idea, dei missionari o dei realizzatori. E per quanto tocca la religione e la Chiesa, accolse ad un tempo dei credenti, desiderosi di una conciliazione, e degli oppositori. I due uomini più popolari della rivoluzione, Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Mazzini, sono entrambi decisi avversari della Chiesa. Il primo quando parla o scrive si abbandona ad un anticlericalismo volgare: ma ha intuito politico e nell’impresa del 1860, la prodigiosa conquista della Sicilia e del Mezzogiorno, non offenderà il senso religiosi delle popolazioni, andrà ad inchinarsi in chiese e santuari, a Napoli assisterà anche al miracolo di S. Gennaro.
Mazzini peraltro, con fede nel Dio personale, ma certo non cattolico e forse neppure cristiano, come tutti i mistici, come tutti coloro che operano sulle forze del sentimento, come moltissimi tra i rivoluzionari, non ha sensibilità per le forme giuridiche; non avrebbe mai elaborato sistemi di relazioni tra Chiesa e Stato né dettato una legislazione ecclesiastica.
Il Risorgimento italiano ebbe quegli cui Paléologue dedicò un volume dal sottotitolo Un grand réaliste, e che fu il vero artefice della unificazione nazionale: Camillo di Cavour. E questi, formatosi prima del ’48 in larghi contatti con Ginevra, con l’Inghilterra, con la Francia di Luigi Filippo, aveva il culto della libertà, tutte solidali tra loro, sì che una non può essere ferita senza che le altre ne soffrano.
Non sappiamo gran che della religione di Cavour: poco più che diciottenne, una crisi lo aveva portato ad un crudo razionalismo: tornò poi alla fede avita ? Moltissime volte si proclamò cattolico, ed è noto che si preoccupò di avere in punto di morte i conforti religiosi: ma è dubbio se il suo cattolicismo, oltre all’adesione al corpo della Chiesa istituzione organizzata, con un’alta missione civilizzatrice, ed oltre la fede in un Dio personale, abbracciasse quella nei dogmi, nei sacramenti; dubbio se la sua preoccupazione di non morire come un reprobo non fosse ancora preoccupazione di un uomo di Stato, che non voleva che la sua morte confermasse agli occhi dei più l’impossibilità di restare nella Chiesa disobbedendo al papa sul terreno politico.
Certo la sincera fede di Cavour nella libertà generò quel suo programma di rapporti tra Stato e Chiesa sintetizzato nella formula “libera Chiesa in libero Stato”.
Il pastore protestante Alessandro Vinet aveva pubblicato nel 1842 l’ Essai sur la manifestation des convinctions religieuses e sur la séparation de l’Eglise et de l’Etat: fondato sul concetto che la religione è atto di spontaneità, sicchè è inammissibile una religione di Stato.
Da questa fonte – se pure altri abbia sostenuto: da quella del cattolico liberale francese Montalembert – e da quella calda fede nella libertà, l’idea di Cavour, che lo Stato debba rinunciare ad ogni forma di controllo della Chiesa di espandersi, di conquistare delle anime, di portare un numero sempre crescente di persone a vivere spontaneamente secondo la sua disciplina. Peraltro neppure la grande maggioranza dei credenti potrà mai imporsi alla minoranza, conturbare questa; così come una maggioranza d’increduli non potrebbe mai trasformare lo Stato in strumento di propaganda ateistica o fare una posizione comunque deteriore ai credenti.
Questa l’essenza del pensiero di Cavour, che resiste in effetto sempre con pari vigore a clericali e a giacobini, a tentativi d’intromissione ecclesiastica nella vita dello Stato come a misure persecutorie dei cattolici e del clero.
Cavour, tutto preso dalla vita politica, non scrisse libri. Chi voglia addentrarsi oltre nella essenza della dottrina separatista che ispirava la sua azione, deve consultare il libro di un suo fedelissimo, Pier Carlo Boggio, La Chiesa e lo Stato in Piemonte (1854-55): dove si assume come punto di partenza che lo Stato non ha giurisdizione che sugli atti esterni dell’uomo in rapporto alla sicurezza ed al benessere della società, e la Chiesa non ha giurisdizione che sulle coscienze ed in rapporto alla salute individuale dell’anima di ciascuno, onde la società politica e quella religiosa debbono coesistere parallele ed indipendenti ciascuna nella sua sfera. E si legge altresì: ” Lo spirito religioso vuole rendere perfetto l’individuo. Questo principio, trasportato nell’ordine politico, dà luogo ad una serie di provvedimenti tanto più vessatori ed oppressivi quanto è maggiore in chi li sancisce la persuasione di agire nell’interesse di coloro contro i quali son diretti … non v’ha tiranno più inflessibile e pertinace di colui che si crede avere da Dio il mandato di governarvi al fine di procurarvi il bene eterno … non libertà di pensiero, non coltura di studi, non progressi d’industria, non prosperità di commerci, ma prostrazione, ignoranza, povertà, fiacchezza, tali sono i frutti ordinari dei governi ieratici”.
Possono anche leggersi le dodici lettere Della libertà religiosa (1855), di Marco Minghetti, che aveva seduto per Bologna nella consulta di Pio IX ed era stato ministro costituzionale del papa nel 1848, e fu poi collaboratore intimo di Cavour nelle trattative con Roma degli ultimi mesi di vita del grande ministro, e dopo l’unificazione due volte presidente del Consiglio del regno.
Ora vorrei sottolineare due elementi:
1.Resiste ancora un certo accanimento, a questo punto del tutto formalistico, contro la vicenda risorgimentale italiana. Quest’accanimento ci dimostra che è ancora presente, nel mondo ipercattolico italiano, una pulsione di tipo guelfo, che rischia di riportarci indietro. Definiamo a ragione “guelfo” quell’atteggiamento culturale e politico che punta all’instaurazione (e non “restaurazione”) di un Regno d’Italia affidato al Papa. Il cosiddetto “papa Re”. Ricordiamo, a tal proposito, che fino agli anni sessanta la gioventù cattolica (Azione cattolica, Scout cattolici, altre Associazioni) cantava una canzone “ufficiale”, diretta al Papa, che terminava con questa strofa: “Siamo arditi della fede, siamo araldi della croce, al tuo cenno alla tua voce, un esercito all’altar!”. Già Gioberti e Rosmini – come ho sottolineato nella prefazione al volumetto che abbiamo redatto di recente sull’Unità d’Italia vissuta a Spezzano Albanese e dintorni – avevano previsto e proposto una sorta di Presidenza onoraria per Pio IX nella confederazione degli stati che andavano unificandosi. Ricordiamo inoltre che, a ridosso dell’8 settembre, con lo sfascio generale provocato dalla palese defezione di Casa Savoia e dei suoi generali, una delegazione d’intellettuali cattolici guidati da Edgardo Sulis offrì a Pio XII lo scettro del Regno d’Italia. Il papa, intelligentemente, rifiutò, ma il gesto resta nella storia nazionale per il suo indubbio simbolismo. E tuttavia fu proprio Mussolini che in quei giorni, nei suoi appunti poi pubblicati, aveva previsto un’Italia governata da elementi legati al papato. Anche se la veridicità di tali appunti rimangono un enigma e comunque in questa conferenza non ci interessa ora approfondire. Che fu la Chiesa a preparare ed a propiziare il Risorgimento è ormai una verità accettata ed accertata. Diamo per scontati pensatori di altissimo livello internazionale come il Rosmini, il Balbo, non ecclesiastico ma ideologicamente neoguelfo, e il Gioberti che però fu contestato per l’eccesso di guelfismo. Scrive, infatti, Egidio Reale:”Se il sistema politico e il programma di rigenerazione italiana concepito e preconizzato dal Gioberti trovavano larghe e fervide adesioni in Italia, essi suscitavano anche riserve, critiche, opposizioni. A molti quel suo primato papale ed italiano sembrava inconsistente e quasi un’ironia, nelle condizioni nelle quali la penisola era ridotta. L’esaltazione del Papato e della Chiesa e il confidare ad essi il risorgimento della patria, spiaceva a coloro, anche fra i moderati, la cui mentalità era formata sulla tradizione ghibellina e sulle dottrine prevalenti nel Settecento, e che restavano critici acerbi degli errori, delle pretese, delle usurpazioni del Papato e suoi fieri e decisi avversari, o che più da vicino conoscevano l’ostilità del governo pontificio contro ogni riforma e ogni forma di libertà e di civile progresso”.
2. C’ è da dire che a volte si assiste ad attacchi, rozzi e volgari, concentrici e furiosi, frutto di forze laiciste, che hanno paura della Chiesa cattolica e del Papa la cui leadership morale é fuori discussione. Oggi la Chiesa cattolica, con la sua autorevolezza, é certamente un importante punto di riferimento etico e credibile, e tali valori mettono timore a coloro i quali vogliono spesso ribaltare il tavolo e le regole del gioco e vogliono imporre anche con la forza della violenza e del discredito, una cultura relativista, decisa a ferire la credibilità di una istituzione sana come la Chiesa cattolica.
Ho in breve citato i pro e i contro. Una esigua minoranza non vede di buon occhio il Risorgimento, ma la stragrande maggioranza dei cattolici ritiene buono questo processo unitario, forte anche dell’investitura delle più alte gerarchie ecclesiastiche.
“L’identità nazionale degli italiani, così fortemente radicata nelle tradizioni cattoliche, costituì in verità la base più solida della conquistata unità politica”, scrive Benedetto XVI al presidente Napolitano. A proposito della fine degli Stati pontifici, “nel ricordo del beato papa Pio IX e dei successori”, Benedetto XVI riprende nel suo messaggio le parole del cardinale Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI, nel discorso tenuto in Campidoglio il 10 ottobre 1962: “Il papato riprese con inusitato vigore le sue funzioni di maestro di vita e di testimonio del Vangelo, così da salire a tanta altezza nel governo spirituale della Chiesa e nell’irradiazione sul mondo, come prima non mai”.”In definitiva – aggiunge il Pontefice – la Conciliazione doveva avvenire fra le Istituzioni, non nel corpo sociale, dove fede e cittadinanza non erano in conflitto. Anche negli anni della dilacerazione i cattolici hanno lavorato all’unità del Paese”.
Il Papato del Risorgimento si identifica con la figura di Pio IX, beatificato nel 2000 da Giovanni Paolo II
Del Papa del Risorgimento nel 2000, Giulio Andreotti (la cui firma è legata all’Inno di Mameli come inno nazionale) tornò ad immergersi nelle carte della Roma dell’Ottocento, pubblicando il libro “Sotto il segno di Pio IX”che fa seguito ad un altro interessante testo dello stesso autore pubblicato nel 1968. Salutato agli esordi come un liberale, Giovanni Maria Mastai-Ferretti deluse i patrioti che lo avrebbero voluto alla testa di una Confederazione italica. Per questo l’immagine ricorrente di lui non è benevola e lo si collega al controverso Sillabo e al Concilio che proclamò l’infallibilità del Sommo Pontefice. Con questa ricerca, Andreotti vuole allontanarsi dalla figura del capo di stato, per mettere in luce l’aspetto spirituale dell’immagine di Pio IX. Torna così utile il giudizio di uno studioso e uomo politico laicista doc, Giovanni Spadolini, secondo il quale Mastai Ferretti fu uno dei pontefici meno “politici” e più profondamente fedeli alla sua missione spirituale della Chiesa che la storia del papato abbia mai conosciuto (Cfr. L’opposizione cattolica da Porta Pia al ’98, Firenze, 1954). Di Pio IX si sono occupati anche poeti, oltre che storici e religiosi, tra questi anche l’intellettuale spezzanese Giuseppe Angelo Nociti (1832 – 1899) che scrisse un’ode al pontefice in questione esaltandone le virtù e l’elevata statura morale, politica e religiosa. Egli è il papa, ricordiamolo, dell’Immacolata. L’8 dicembre 1854, solennità dell’Immacolata Concezione di Maria, in S. Pietro a Roma, il papa nella pienezza del suo potere dottrinale, definisce dogma di fede che Maria è stata concepita senza peccato d’origine ed è Tutta Santa fin dall’inizio della sua esistenza. Maria Immacolata, da lui sempre amata fin da bambino, ora sarà la “Stella fulgida” del suo pontificato e di tutta la Chiesa, così da essere giustamente chiamato “il Pontefice dell’Immacolata”. “La proclamazione di questo dogma racchiude in germe tutto il disegno di Pio IX” – dirà il cardinale Lucido Maria Parocchi (Cfr. R. De Mattei, Pio IX, Casale Monf. (AL), 2000). Tornando alle questioni risorgimentali possiamo dire che la Provvidenza guidò gli eventi, perché la breccia di Porta Pia permise ai cattolici di permeare di quella cattolicità la cultura post – risorgimentale, che, senza nasconderci ha radici “massoniche”. Anche il “non expedit” (il cosiddetto divieto tassativo di papa Pio IX ai cattolici di partecipare e quindi legittimare il potere politico che andava costituendosi) infondo non è stato del tutto eseguito, ed anche i papi hanno sempre invitato ad essere vicino al popolo italiano. Questa è la storia che ci appartiene. L’Unità d’Italia è stata fatta storicamente da Vittorio Emanuele II, Garibaldi, Mazzini e Cavour, ma gli italiani sono fatti anche, ed è bene sottolinearlo, del loro cattolicesimo.
Cesare De Rosis
- La presente relazione è stata letta nel Convegno di studi sul tema “Il sud e l’Unità d’Italia” tenutosi il 30 – 04 -2011 presso la Biblioteca comunale di Spezzano Albanese.
Bibliografia essenziale
– Arturo Carlo Jemolo, “Chiesa e Stato in Italia dalla unificazione a Giovanni XXIII” – Ed. Einaudi, 1966.
– Paolo Barbi, Il Cattolicesimo italiano nel Risorgimento in “Camaldoli” 25 Maggio 2010.
– Giulio Andreotti , La Sciarada di Papa Mastai – Mi 1968.
– Giorgio Vitali, Il Cattolicesimo ed il Risorgimento italiano, 19 Marzo 2011.
– C. De Rosis, Prefazione a “Spezzano Albanese per l’Unità d’Italia” Gennaio 2011.
– C. De Rosis, Un Montepulciano con Pio IX, in “Giornale interattivo San Sosti”, 1 Ottobre 2010.
– C. De Rosis, Ci si ritrova nell’Inno di Mameli, in “Giornale interattivo San Sosti”, 3 luglio 2010.
– Altre fonti consultate sono state citate nel testo.
Caro Raffaele,
consentimi solo qualche rapida riflessione sull’interessante relazione di De Rosis.
Il Risorgimento fu un percorso controverso per raggiungere l’Unità del nostro paese, che era invece una finalità condivisa dalla quasi generalità degli italiani. Lo ‘strumento’ risorgimentale certamente fu utilizzato, ha ragione De Rosis in senso anticlericale per la particolare condizione dello Stato pontificio e questo ha determinato la diffidenza, il distacco con cui i cattolici (nonostante diversissime sfumature) hanno caratterizzato il loro atteggiamento verso lo Stato unitario. La principale conseguenza è stata che per il cattolico le porte dell’impegno politico sono rimaste chiuse per molto tempo.
La enciclica Rerum Novarum (1891) di Leone XIII apre uno spiraglio per l’impegno politico dei cattolici e il loro pieno coinvolgimento nella vita dello stato italiano, ma i tempi non sono ancora maturi. La Dottrina sociale non ha ancora fissato le linee di una completa filosofia politica e di una dottrina dello Stato, tale da permettere ai cattolici di muoversi nel contesto di uno stato moderno, e di una modernità, ancora non completamente digeriti.
La DC di Murri, il popolarismo sturziano sono in anticipo: gli equilibri politici della real politik pontificia comportano il sacrificio di quegli esperimenti. Il non expedit, l’intesa col regime fascista e i Patti del 1929, la difficoltà a far emergere un antifascismo cattolico … il discorso sarebbe troppo lungo e tortuoso.
L’unità italiana (non meramente geografica) si realizza pienamente nel 1947 con i lavori dell’Assemblea Costituente e con la Costituzione entrata in vigore il primo gennaio del 1948: i Costituenti, in uno dei momenti più alti e nobili della storia di questo paese, fanno rinascere l’Italia dalle macerie morali e fisiche della guerra, progettando e realizzando la “Casa comune” con il materiale di costruzione fornito dalle grandi tradizioni culturali e politiche.
In particolare il ruolo dei cattolici (di Dossetti, di La Pira e del giovane pugliese Aldo Moro, del calabrese Costantino Mortati, uno dei più grandi costituzionalisti italiani del ‘900) è centrale sul piano politico e filosofico perché, dopo la catastrofe dei totalitarismi che hanno svuotato l’individuo riducendolo ad un essere disponibile, il loro contributo rappresenta l’architrave di quella Casa. L’art. 2 della Costituzione, con la idea guida del primato della persona umana e delle formazioni sociali e del ruolo sussidiario dello Stato, è la sintesi della riflessione dei cattolici democratici che si era ormai consolidata (con il ritorno a Rosmini, con la rilettura di San Tommaso, con il pensiero della sussidiarietà, col solidarismo e il personalismo, con il contributo poco conosciuto ma straordinario, direi fondamentale, dell’abruzzese Giuseppe Capograssi).
Ho riletto in questi giorni gli atti della Costituente. Mi ha colpito lo spirito costruttivo, lo sforzo di mettere da parte gli eccessi ideologici, che non mancavano da una parte e dell’altra. Sono rimasto sorpreso dalla profondità teorica delle riflessioni, dell’attualità di un dibattito che fornisce ancora tanti spunti allo studioso ma che potrebbe essere utile al politico in una stagione, invece, caratterizzata da ben altri valori. E ho provato un senso di angoscia a pensare agli improvvisati costituenti che tanto disinvoltamente parlano di riforme costituzionali …
Un saluto affettuoso,
Mario Sirimarco
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Sono particolarmente lusingato del commento scritto dal Signor Sirimarco. Aggiungo che, quanto da lui sottolineato, completa quanto dal sottoscritto evidenziato. Qualcuno ha visto nella mia relazione una lettura troppo clericale ma non era questo l’intento. Certo il mio riflettore era puntato sull’atteggiamento del mondo cattolico ma l’ Unità d’Italia è stato senza dubbio un momento tanto forte quanto importante ed essenziale. La critica ai grandi del Risorgimento era più che altro sul piano fideistico, poichè come ci ha ricorda lo stesso Giulio Andreotti, da me più volte citato, di recente: Ciascuno dei grandi personaggi dell’Unità d’Italia, nei propri limiti e secondo i propri principi, si adoperò e si prodigò per la realizzazione della medesima impresa: così, se leggendaria fu l’azione di Garibaldi, non meno efficaci e decisivi furono l’opera unitaria di Vittorio Emanuele II, la sagacia politica del conte di Cavour, il fervore patriottico di Mazzini.
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