Parigi, città magica e strepitosa maratona

Di Antonio Vigna

Quando sei  sopra  a poco più di 100 Km quadrati di prateria metropolitana,  a poche centinaia di metri, l’aereo sta per atterrarci, ci sei dentro,  la senti palpitare ed avverti la magia di una città affascinante dove la normalità non è la regola, ti trovi a Parigi. Dalla grandiosità e particolarità dei monumenti e palazzi costruiti  in pietra foggiata direttamente in situ da scultori che ne hanno ricavato balconi e cornicioni senza possibilità di sbagliarne le misure, sono nati quei caratteristici cimeli architettonici che  vivono nel tempo   pregiatissimi  e che rappresentano un autentico, antico patrimonio artistico. Alla bellezza e vastità dei numerosi, curatissimi giardini, tra cui fanno spicco quello del palazzo reale e di Lussemburgo, con le loro siepi simmetriche,  alberi ad alto fusto  tutti uguali potati con una perfezione che rasenta il maniacale, prati sempre adornati da lunghe cupole di fiori profumati  dai mille colori, prende forma il piatto forte che rende Parigi una città in ogni momento fruibile in tutta la sua unicità. Il culto dell’esagerato era già presente nel DNA dei grandi predecessori della storia francese, Carlo Magno, Napoleone, Luigi XIV, che per la loro grande personalità e mania di grandezza hanno lasciato, ognuno a suo modo,  una profonda traccia  trasmessa ad un popolo che non conosce mezze misure di cui quello parigino ne è il prototipo.  Anche Parigi  come ogni metropoli  ha le sue contraddizioni,  monumenti e palazzi  si contrappongono spesso con evidenti  diversità di stili, ognuno corrispondente alle esigenze di qualcuno di questi  grandi predecessori. La loro forte  personalità   ha fatto sì  che questi venissero creati  secondo i loro  precisi desideri, senza tener conto di ciò che già esisteva in quel contesto. Lungi dal definirla accozzaglia, per l’originalità ed il grande valore artistico di ognuno preso singolarmente, l’insieme in qualche punto della città appare disomogeneo e slegato, smarrisce la linearità degli accostamenti per diventare disorganico. Tale modo di fare è stato riproposto anche in epoca più recente con i colori e le forme orrende del museo di arte moderna di Pompidou contrastante con i bellissimi vicini palazzi. Il fascino della vita mondana notturna e della squisita moda parigina restano dei miti che il tempo non ha mai cancellato e che hanno reso magica un’epoca che ancora oggi non ha spento il suo fervore. Parigi dall’antichità intoccabile, con una superficie ovalare con diametro maggiore 12 km e minore 9, con poco più di due milioni di abitanti, è circondata da una miriade di comuni che fanno corpo unico fuori le mura, insieme ai quali supera i 12 milioni di abitanti. Nel centro storico le case e i palazzi sono rimasti integri, con muri non perfettamente perpendicolari che verso l’alto tendono a rientrare all’interno, con una certa parsimonia di finestre perché all’epoca la luce si pagava.   In mezzo a tanta immortalità da mettere i brividi si è celebrata la mia ultima e tredicesima maratona il cui ricordo resta per me non meno importante e magico della stessa Parigi. La gara con partenza,  alle 8.45  dello scorso 10 aprile, in prossimità dell’Arco di Trionfo si è diretta lungo i Campi Elisi verso piazza della Concordia.  Il serpentone da qui, attraverso Rue de Rivoli, fiancheggiando il Louvre ha puntato  verso  piazza della Bastiglia. Uscito dalle mura a Porte Dorée, lungo chateau de Vincennes si è snodato per 10 km all’interno di Bois de Vincennes, rientrato dentro le mura attraverso Avenue de Gravelle di nuovo in direzione della Bastiglia, fiancheggiando la cattedrale di Notre Dame, il museo d’Orsay e la torre Eiffel, risalendo da Cote Mirabeau e sconfinando nuovamente fuori le mura in Bois de Boulogne, compiendo all’interno di questo un circuito di 9 Km, rientrava dentro Parigi a porte Dauphine dove a 200 metri era posizionato l’arrivo nei pressi dell’Arco di Trionfo. Se dovessi fare un’analisi su me stesso e su come ho interpretato la gara, considerando la giornata caldo-umida con punta massima di temperatura di quasi 30°C, tasso di umidità 70-80%, il percorso impegnativo con due salite continue al 2%, la prima al 17° e la seconda al 29°, i  4 sottopassi “spezza gambe”  del  lungo Senna, i molti km in falsopiano,  con la maggior parte dei concorrenti che  “si potevano raccogliere con il cucchiaino” e l’azione di forza che sono riuscito a produrre subito dopo la torre Eiffel, quando  mancavano ancora 12 km, credo di poter dire senza margine d’errore che sia stata una delle mie migliori maratone. Proprio in questo punto cruciale di gara,  quando l’intero cordone che avevo davanti rallentava l’andatura per la fatica, premevo l’acceleratore a tavoletta, “aprivo tutte le valvole”,  mi mettevo in corsia di sorpasso, restandovi  fino sotto l’arrivo e bruciando tutto il carburante che  diligentemente  avevo tenuto in serbatoio. Questa  relativa progressione, perché non ero io ad accelerare più di tanto ma gli altri a crollare,  mi consentiva di rimontare un gran numero di posizioni, che reputo  circa 600. Su 32.000 partenti, tagliavo il traguardo 1200°, in una categoria VH2(52-61) di una fascia d’età di 10 anni, per me penalizzante perché  un solo anno non mi consentiva  di essere annoverato in quella over, giungendo nella stessa su oltre 4000  80°, coprendo i 42 Km e 199 metri in 3h.04’.53.  Quando nella parte finale di una maratona si compie una simile azione da manuale, dopo che  con self control si è tenuto fino a quel punto il giusto ritmo di gara,  avvertiti  dentro l’orgoglio e la sensazione di riuscire ad esprimere una così forte reazione finale, di poterla continuare a quel ritmo fino al traguardo, lasciatevelo dire da un esperto, significa che non c’è stata la benché minima sbavatura e che  preparazione, alimentazione,  lettura e  sagacia tattica di gara sono state massime.

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