Sulla cultura della Magna Grecia

Di Vincenzo De Luca

La Magna Grecia vista attraverso epigrafi e laminette: terra del desiderio, della bellezza e del vigore dei suoi abitanti.  Così un colto greco, nel V sec. a. C.,  immaginava la Magna Grecia. Callimaco di Cirene cantò nelle Origini il pugile Locrese  Euthymos, tre volte vincitore a Olimpia (negli anni 484, 476, 472), liberatore della città di Temesa dal tributo di una vergine all’eroe della città (frammento 635 Pfeiffer). La  Coppa di Nestore, sicuramente databile tra il 730 e il 725 a.C., incisa con disegni geometrici riporta il testo dell’epigrafe, in alfabeto occidentale calcidese: “Io sono la coppa di Nestore  in cui è piacevole bere. Ma chi beva da questa coppa subito lui prenderà desiderio di  Afrodite dal bel diadema”..   Nel sec. VII si ha la prova che i poemi omerici erano già  diffusi in Occidente. Un’insigne poetessa, Nosside, emulò la celebre Saffo di Mitilene, in Antologia Palatina , dove Meleagro la identifica col fiore del giaggiolo, dodici epigrammi che costituivano il suo libro di poesie (preludio, A.P. V,170):”Nulla è più soave dell’amore, ma ogni altra delizia è seconda: anche il miele sputo dalla bocca – dice Nosside – chi è amato da Cipride non sa quali rose siano fiori e ancora –  ..o straniero, se tu navighi verso Mitilene lieta di canti per cogliere il fiore delle grazie di Saffo , di’ che io fui amica delle Muse, che nacqui  a Locri  e sai che il mio nome è Nosside”.  In altri epigrammi uno canta la dedica delle armi tolte ai Bretti dai Locresi.  L’archivio del tesoro del tempio di Zeus Olimpo, scoperto dal Franciscis  nel 1972 , è un documento importante per il dialetto dorico della Magna Grecia (lo stesso che troviamo sull’ascia rituale con iscrizione votiva di San Sosti ). Stesicoro, nel frammento 192, scrive “Non è vero raccolto: tu non salisti sulle navi dai bei sedili e non giungesti alla rocca di Troia..  lirico cantore di temi epici e ispiratore delle metope dell’Heraion di Foce del Sele a Paestum”  Alessi di Thuri scrive: “Tale è il vivere dell’uomo: come i dadi non cadono sempre dallo stesso lato, cosi la vita mai permane nella stessa forma ma è soggetta a mutamenti nelle commedie  della Fanciulla  Brettia”. Da una laminetta aurea, iscritta con testi da’ ispirazione eleusina, (traduzione G. P. Carratelli) dice: “Vengo di tra puri, o pura regina degli Inferi, Euklas e Eubulaus e altri numi immortali: che dichiaro di appartenere anch’io alla vostra stirpe beata. Ma mi assoggettò il Destino e il folgorante Saettatore celeste. Volai via dal doloroso ciclo grave d’affanni, e ascesi alla desiderata corona con piedi veloci; mi immersi nel grembo della Signora regina degli Inferi, discesi dalla desiderata corona con piedi veloci. O felice e beatissimo, nume sarai invece che mortale, Capretto mi lanciai verso il latte” Di Leonida sono, invece, questi epigrammi (da A. Palatina vi ,302): “Fuggite via dal mio tugurio, tenebrosi topi, la povera madia Leonida non sa nutrire topi. Il vecchio ha chicchi di sale e due tozzi di pane e basta a se stesso: lodo questo modo di vita che viene dai miei padri. Perchè allora, topo ingordo, scavi questo mio recesso, dal momento che non puoi gustare neanche le briciole del mio pranzo? Va’  corri nelle case degli altri: di la potrai attingere una razione abbondante. Semplice è quel che io posseggo”.   Ancora,  A. Paltina  (Leonida) dice: “O dea Lathria, accogli da Leonida povero, vagabondo e di piccola madia, come pegno di gratitudine, pingui figurine di pasta e oliva ben conservata e questo verde fico che ho staccato dal ramo; abiti cinque acini che ho staccati dal grappolo vinoso, o venerata, e questa libagione dal fondo della giara. Se come mi liberasti dalla malattia così ancora mi libererai dalla nemica povertà, mi avrai sacrificatore di un capretto”. Da  Epicarmo, comico, si riporta il monologo: “Pranzo da chi mi vuole, sol che mi inviti: e da chi non mi vuol :d’invito non c’è necessità . E la ,son tutto spirito , fa slogar le mascelle per le risa: chi il pranzo pagò, levo alle stelle; e ove osi contraddirlo qualcuno in chicchessia , mi vien la mosca al naso,  e gli fa villania. Poi va via, rimpinzato di vivande e di vino, ma non l’ho mica, un bimbo che mi schiari il cammino!.. Solo soletto, incespico nel buio, e m’arrabbio; e se, per mala sorte, nella ronda m’imbatto, ho per fortuna somma, rendo grazie ai Celesti, se me la cavo sol con aver gli occhi pesti. Quando così malconcio torno a casa, un giaciglio per dormir, non lo trovo! E già , non me ne piglio, sin che i fumi del pretto m’annebbian l’intelletto”. ( traduzione di E. Romagnoli).

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