Il valore estetico dell’Icone

Di Cesare De Rosis

icona MadonnaLe sacre icone hanno un notevole valore estetico oltre che liturgico, storico e artistico. Emerge che l’orizzonte problematicoentro il quale si muove da sempre la pittura faccia tutt’uno con lequestioni dell’immagine e che la tradizione occidentale, soprattuttonella riflessione sulla storia dell’arte, abbia incentrato la sua attenzione sul problema dell’immagine senza tenere conto in genere deisuoi aspetti iconici. Già Tommaso d’Aquino aveva posto in questitermini tale problema: l’immagine può essere considerata come oggetto particolare, o come immagine di un altro; nel primo caso l’oggetto è la cosa stessa che al contempo ne rappresenta un’altra, nelsecondo l’aspetto dominante è ciò che l’immagine rappresenta. Sembra dunque che rispetto a un’immagine l’attenzione si rivolga o all’immagine in se stessa – all’immagine come fine – o a ciò che l’immagine rappresenta – all’immagine come mezzo.In particolare nell’icona cogliamo l’assenza di ogni immagine (Giuseppe Di Giacomo, Icona e arte astrattaLa questione dell’immaginetra presentazione e rappresentazione, 1999). L’icona ha un alto valore estetico. Lo scorso anno ho scritto alcune riflessioni sulle opere di Antonio Gattabria, quasi a mò di recensione per intenderci. Inquesta sede  vogliamo partire da quelle riflessioni ed andare oltre. Una icona, quando la guardiamo, anzi quando la contempliamo, perché il guardare qui diviene contemplazione, ci riempie immediatamente di commozione, suscita una partecipazione al Divino che rappresenta, al Trascendente che vi è raffigurato. Non si tratta più di un apprezzamento estetico ma di una comunione interiore con il Sacro che trabocca dal quadro e riempie il nostro animo.Il nostro quadro religioso rappresenta il ricordo di un evento storico sacro, avvenuto nel passato e nella storia dell’uomo. L’icona invece è una epifania, è la manifestazione attuale del simbolo e dell’evento rappresentati; un personaggio-simbolo che è eterno, un evento-simbolo che avviene sempre, che appartengono non alla storia dell’uomo ma alla metastoria –anzi sono la metastoria – dello spirito. (Felice Masi,La magia delle icone,in “La Ricerca psichica”, anno III, 1996, n. 3). La fabbricazione delle icone è un rito che avviene secondo i moduli di una tradizione rigorosa e già questo procedimento rituale risveglia dal suo profondo il sacro, che in questo modo emerge, investe e si incorpora nell’icona, attraverso il pensiero e l’animo religioso e pregante dell’autore. Qui, parlando della fabbricazione delle icone, ci riferiamo soprattutto a quelle su tavola di legno, che sono le più diffuse.Si iniziava con la scelta del legno e dell’albero; non era mai il legno di un albero qualunque, doveva essere un legno resistente e già annoso, per assicurarne la robustezza e la durata nel tempo. L’essenza vegetale scelta, diversa nelle varie regioni, comportava già una conoscenza esperta e una ripetizione di gesti dai quali non ci si poteva allontanare: non si stava preparando una cosa qualsiasi ma un oggetto consacrato. I legni adoperati erano il nocciolo nell’Asia minore, il cipresso in Grecia, in Russia il tiglio e, nelle zone ancora più a nord, il pino. La tavola veniva tagliata direttamente sulla parte esterna del tronco, nel senso della fibra, e veniva scortecciata, senza però spianarla e questo spiega la curvatura dell’icona.Soprattutto in Russia, la parte centrale della tavola veniva tagliata più incavata, lasciando tutt’intorno un bordo come cornice, così da ospitare la scena del dipinto in questa parte incavata; mentre la “cornice” sarebbe stata poi solo colorata (grigio-verde o giallo ocra) o anche vi sarebbero state riportate, soprattutto ai quattro angoli, figure simboliche come gli evangelisti o angeli (Cfr. F. Masi, op. cit.). Le varie operazioni venivano fatte in periodi di tempo stabiliti e in determinate ricorrenze liturgiche.In un manoscritto del Monte Athos si trova espressa con forza la necessità della «preghiera con le lacrime, affinché Dio penetri per l’anima» dell’iconografo. L’icona, costituita da una tavola di legno stagionato su cui viene stesa una tela poi ricoperta da vari strati di gesso, non va confusa con la pittura a soggetto religioso presente in Occidente. Non può essere vista come una semplice raffigurazione del mondo operata in chiave spirituale dall’artista, bensì va considerata quale «luogo della presenza di Dio e canale privilegiato di Grazia».

Se nella pittura occidentale, sia profana sia religiosa, prevale il «culto del personale, dell’esclusivo e dell’originale», l’iconografia può essere definita un linguaggio espressivo allusivo e simbolico del divino, la cui intenzione «non è di provocare né di esaltare in noi un sentimento umano naturale.

L’icona è nella sua essenza un’arte religiosa o meglio un’arte teologica. Possiamo definirla un trattato di teologia, che non mira solamente a nutrire l’intelligenza , ma anche il cuore per far scaturire la preghiera.Quanto detto ci permette di addentrarci inalcuni presupposti riguardanti l’iconologia. L’icona si legge, non siguarda, e la lettura deve avvenire attraverso gli occhi della fede, portati per mano a scoprirne il messaggio nelle pericopi, negli  eventi, nei personaggi rappresentati. Fu cosi che si iniziarono i neofiti alla conoscenza delle Scritture, e questa fu ritenuta catechesi, conoscenza visiva del lieto messaggio. L’uomo occidentale che viene a contatto per la prima volta con il mondo delle icone rimane perplesso, perché pur cogliendo il valore estetico talvolta anche sublime (il disegno chiaro, la trasparenza e la delicatezza dei colori, l’armonia della composizione, la stilizzazione delle forme, ecc.) non riesce a cogliere il significato profondo che và cercato nel mondo della fede.Il termine «simbolo» viene dal greco «syn-bàllein» e significa «gettare insieme». Implica il senso di: congiungere, mettere insieme, accomunare, incontrare. Anticamente il «symbolon», era un oggetto (es. una moneta) che veniva con-diviso, cioè diviso in due parti uguali, consegnate a due persone diverse che quando si ritrovavano, potevano identificarsi, riconoscersi. Soltanto quando le parti venivano riunite, appariva chiaro il significato e il valore dell’oggetto.Ciò che caratterizza il simbolo è il fatto che esso, permette il manifestarsi visibile d’una realtà altrimenti invisibile e indicibile, d’una esperienza interiore che impegna ad una corrispondenza vitale.Non si deve confondere il simbolo con la metafora, perché questa ultima è un dato puramente linguistico, mentre il simbolo opera una vera e propria mediazione, pone in relazione dei soggetti, consente il manifestarsi d’una presenza. Il simbolo va distinto anche dal segno, poiché questo ultimo ha un carattere unicamente informativo e indicativo, pone infatti in relazione un significante e un significato, mentre il primo ha carattere comunicativo, cioè mette in comunione-relazione due soggetti-realtà, ossia in termini filosofici, pone in rapporto due significanti.Nel caso dell’icona, essa mette in comunicazione l’umano e il divino, rende immanente la trascendenza divina, visibile ciò che agli occhi del corpo non appare immediatamente o non è affatto attingibile, ma che l’intelletto illuminato dalla fede riesce a intuire e contemplare. Lo sguardo di fede infatti, non si ferma di fronte alla realtà materiale dell’oggetto che viene posto davanti, ma coglie il suo aspetto nascosto, più profondo, si riposa nella contemplazione del volto di Dio, supera la bellezza estetica dell’arte pittorica per posarsi sull’Archetipo d’ogni bellezza, la Luce divina. Lungi da ogni deviazione idolatrica, nell’icona, i credenti non adorano il legno e i colori, e nemmeno l’armonia delle forme e la precisione della geometria, bensì ciò che essi rappresentano e ricordano, in un processo conoscitivo che, attraverso il materiale approda all’esperienza (ex-perior = attraversare) spirituale.In questo senso, considerare l’iconografia alla stregua di una qualsiasi altra forma di arte religiosa non appare corretto. Nell’icona si manifesta una ulteriorità che non è pienamente descrivibile e oggettivabile.

Perciò Giovanni Paolo II, di venerata memoria, insegnava che: «L’arte per l’arte, la quale non rimanda che al suo autore, senza stabilire un rapporto con il mondo divino, non trova posto nella concezione cristiana dell’icona, Quale che sia lo stile adottato, ogni tipo di arte sacra deve esprimere la fede e la speranza della Chiesa». (cfr. Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Duodecimunsaeculum, n. 11). Benedetto XVI nell’incontro con gli artisti nel 2009 ha bene sintetizzato alcuni concetti sull’estetica partendo dagli scritti di alcuni autori della cultura laica.L’espressione di Dostoevskij è senz’altro ardita e paradossale, ma invita a riflettere: “L’umanità può vivere – egli dice – senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo. Tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui”. Gli fa eco il pittore Georges Braque: “L’arte è fatta per turbare, mentre la scienza rassicura”. La bellezza colpisce, ma proprio così richiama l’uomo al suo destino ultimo, lo rimette in marcia, lo riempie di nuova speranza, gli dona il coraggio di vivere fino in fondo il dono unico dell’esistenza. La ricerca della bellezza non consiste in alcuna fuga nell’irrazionale o nel mero estetismo (Benedetto XVI, 21- 11- 2009).

La bellezza dell’icona viene innanzi tutto dalla verità spirituale e dunque dall’esattezza del simbolismo e dall’ utilità per la contemplazione e il culto dei fedeli. L’icona rappresenta personaggi stilizzati e ideali, impregnati di realismo e di rispetto delle forme, senza tuttavia deviare verso il naturalismo. Se il personaggio raffigurato è, certo, sempre verisimile, il corpo pinto non ha nulla di carnale perchè la carne lascia il posto ad un corpo trasfigurato : l’uomo terrestre si trasforma in un uomo celeste. Lo studio del modulo bizantino del viso ci permette l’accesso al mondo ideale e quasi astratto dell’estetica dell’icona. Questa particolarità dell’iconografia bizantina di trasfigurare e di spiritualizzare il mondo, si manifesta anche nella rappresentazione della natura. Le montagne, leggere ed ariose, invitano all’elevazione spirituale. La vegetazione ha ritrovato la bellezza del giardino dell’Eden (P. Grall, 2000).

Le icone di Antonio Gattabria nella loro essenzialità di linguaggi hanno un valore estetico senza tempo. La sua arte è travestita dall’idea. L’idea è travestita dall’arte.

 

Cesare DE ROSIS

Nota

La presente relazione è stata letta al Convegno di Studi”L’icona: immagine dell’Invisibile” presso la Biblioteca comunale di Spezzano Albanese il 5 Gennaio 2013.

Si legga: Cesare De Rosis, Mostra Iconografica a Spixana: Espone Antonio Gattabria. Icona, Immagine dell’invisibile, in “Giornale interattivo di San Sosti”, 6 Dicembre 2012.

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